Teatro Bolivar, Napoli

LE ROSE DI SARAJEVO

03.02.2023 - 04.02.2023

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LE ROSE DI SARAJEVO
03/02/2023 - 04/02/2023 H.20.30
Teatro Bolivar - Napoli

A vent’anni dalla scomparsa del poeta Izet Sarajlić, il cantore di Sarajevo testimone della tragedia della Bosnia, che più di tutti i poeti del Novecento è riuscito a raccontare la grande ferita della guerra, Erri De Luca suo amico e fratello di poesia, Cosimo Damiano Damato e l’ensemble Minuscola Orchestra Balcanica di Giovanni Seneca con Anissa Gouizi e Gabriele Pesaresi, gli rendono omaggio portando in scena Le rose di Sarajevo. Lo spettacolo ha debuttato con un sold out da teatro delle Muse di Ancona in apertura dell’Adriatico Mediterraneo Festival.
Scrive Erri in Lettere fraterne (Dante & Descartes): “Seduto alla
tavola, testa tra le mani –– testa tra le mani, ho saputo che la
poesia non va letta con gli occhi da una pagina, ma estratta a
memoria dalla voce. È teatro che si apparecchia senza palco e luci. Ce la fa da sola e senza applausi e bis, lascia, nella sala d’attesa dell’orecchio, un vuoto e un risveglio bisognoso. È mistura d’alcol,pentecoste e batteria”.
De Luca e Damato, hanno già raccontato insieme altre storie, per il cinema (Tu non c’eri), al teatro (Se i delfini venissero in aiuto)e in un libro (L’ora X, una storia di lotta continua). Storie nate su tavole robuste. Due generazioni che stanno dalla stessa parte, con lo stesso sguardo civile e condividono la stessa poesia, le stesse battaglie. Salgono sul palco per amicizia, per raccontarsi ancora una volta una storia e lo fanno partendo dal pensiero del poeta Izet Sarajlić: “Chi ha fatto il turno di notte per impedire l’arresto del cuore del mondo? Noi, i poeti».
Scrive Erri –
“Nell’assedio più lungo del 1900, nella Sarajevo degli anni Novanta,i cittadini andavano alle serate di poesia nel buio di una città senza corrente elettrica. Sperimentavano che in una guerra solo i versi sono capaci di correggere a forza di sillabe miracolose il tempo sincopato dei singhiozzi, il ragtime delle granate, l’occhio di un mirino addosso. I versi portano la responsabilità della parola ammutolita. I poeti leggevano o dicevano a memoria il loro canto da una città assediata. Agli italiani che lo raggiungevano nell’accerchiamento Sarajlic dava il «Benvenuti nel più grande carcere d’Europa». I poeti facevano il turno di notte in Sarajevo per impedire l’arresto del cuore del mondo [...] In una notte di granate che esplodevano a casaccio sulla sua collina, scriveva con tutta la sua volontà di contraddizione della distruzione: «In una notte come questa, malgrado tutto, pensi a quante notti d’amore ti sono rimaste. [...] Credo che un poeta debba diventare un membro di
famiglia e non restare l’autore di versi pubblicati. Eppure credo
che un poeta paghi i suoi versi con la vita svolta. In un poeta
cerco, esigo che la sua vita sia all’altezza della sua pagina. Perciò Izet Sarajlic doveva essere maestro di lealtà civile restando a Sarajevo fino all’ultimo giorno di malora. Con i suoi versi si erano dati voce gli innamorati di due generazioni. Chi è stato responsabile della felicità, lo è pure dell’infelicità”. A Damato è affidata la lettura di alcune poesie di Izet per poi duettare con Erri dando voce al carteggio “Lettere fraterne” che Erri e Izet si sono scambiati, un epistolario che ha la potenza poetica dei carteggi dei grandi poeti. Ad Erri, volontario sui convogli umanitari a Sarajevo, il racconto del Novecento, dei suoi poeti e dei versi di Izet. A Giovanni Seneca, Anisa Gouzi e Gabriele Pesaresi il compito di imbarcare le parole su una nave musicale dalle atmosfere balcanico-Mediterranee.

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